Era il 30 Settembre 2015 quando entrai, per la prima volta, nella sala comandi del reattore #4, esattamente dove si fece la storia quella notte del 26 Aprile 1986.
Ho impiegato almeno due anni per elaborare quei cinque minuti trascorsi in quella stanza. Durante quei due anni non ho mai condiviso una sola foto di quella stanza e la motivazione è tanto banale quanto stupida: avevo paura di non essere creduta! In quegli anni erano davvero pochissime le persone che potevano l’onore (attraverso uno speciale permesso governativo) di entrare in quella stanza. Di quelle ore ricordo solo che mi sentivo stordita dalla grandezza di ciò che stavo vivendo.
Esattamente da quella control room, in pochi minuti, cambiarono le sorti del grande progetto nucleare sovietico, nonchè l’assetto geo-politico dell’Est del mondo. Per molti storiografi Chernobyl rappresenta anche la prima grande crepa nel sistema sovietico che di lì a pochi anni cadde definitivamente.
L’uomo non aveva mai vissuto nulla di simile prima di quella notte.
Non ho mai trovato le giuste parole per descrivere ciò che ho vissuto in quella sala, ed è per questo che ho deciso di affidare le mie emozioni ai protagonisti di questa storia.
LEONID TOPTUNOV (ore 1.23)

“Mandiamo l’ordine di spegnere le turbine. Da questo momento in poi girerà tutto per inerzia. La potenza del reattore sale, sale in maniera inesorabile, a briglia sciolta. Ha già superato i 500 MW. Sono ai comandi e me la sto facendo sotto. Sudo freddo, ho un terribile presentimento. Anche Akimov è molto inquieto, lui che di solito non perde mai la calma. Dyatlov è alla scrivania. – Cosa succede? – ci chiediamo. Nessuno sa rispondere. Di colpo tutto quello che ho studiato non ha più alcun valore. Ogni cosa diventa arbitraria, imprevedibile, dalle certezze matematiche si passa alla più totale casualità. La potenza sale ancora, e ancora. – Dobbiamo ricorrere allo SCRAM, lo spegnimento di emergenza! – grido perché tutti mi sentano, ma Akimov mi precede quasi, passa subito ai fatti e preme il tasto AZ-5, quello dello spegnimento rapido. Il reattore non si spegne, nonostante tutto. E’ pazzesco. La potenza sta raggiungendo livelli astronomici, fuori da ogni portata. Qualcuno entra in sala, terrorizzato, e dice che i tappi protettivi delle barre di controllo in cima al reattore saltano, su e giù, in un’assurda coreografia di getti di vapore. Il pavimento della sala di controllo trema, si ode un tonfo fortissimo, poi un altro, va via la luce, ritorna, poi di nuovo va via. Io penso che la temperatura troppo elevata del reattore abbia fatto esplodere delle condutture, e poi l’esplosione abbia provocato la caduta di qualcosa, forse una gru del vicino blocco 5, quello in costruzione, contro il nostro, di blocco.”
YAROSLAV LUKASHENKO (ore 1.24)
“Mentre chiacchiero con mio fratello la terra trema. Poi di colpo odiamo due scoppi molto ravvicinati. Dietro di noi una forte luce, di origine sconosciuta, si diffonde in un bagliore rossastro. Ci voltiamo: dietro di noi ci siamo lasciati la centrale di Chernobyl. Ora però quel che vediamo in questo momento non avremmo mai voluto vederlo, e sottolineo mai. Sembra di essere davanti ad un vulcano.”
IVAN STOLYARCHUK (ore 1.24)
“Mentre peschiamo la terra trema. Papà ed io gettiamo via le canne e ci accasciamo, come se un fuoco nemico ci avesse colpiti. Chiudiamo gli occhi. Deve essere un terremoto. Ecco un boato, e poi subito un altro. Apriamo gli occhi, istintivamente, di colpo. Una luce anomala, rossa e gialla, ci acceca. Il blocco del reattore 4, di fronte al canale dove peschiamo, non è più lo stesso. Gli altri due pescatori, poco distanti, stanno dandosela a gambe. Dal blocco si leva una colonna di fuoco: un enorme bengala che sembra voler sfidare il buio della notte. Qualcuno o qualcosa lo ha generato, quel bengala, ed ora, verticale ed imponente colpisce i nostri occhi ignari e scioccati. Rosso, giallo, verde, blu: un assurdo spettacolo pirotecnico che fa accapponare la pelle, e dinnanzi al quale anche i fuochi della festa della Vittoria impallidiscono. Da esso si libera un fumo denso e insopportabile, che penetra dalle narici fin dentro al palato molle, e lascia in bocca un saporaccio acido e metallico, come di ferro, come di sangue. Papà guarda lo spettacolo a bocca aperta, con gli occhi grigi spalancati e le sue sopracciglia, foltissime e nere, rivolte verso l’alto, come in preda alla disperazione. Sembra in stato di shock. ‘Pa’! Pa! Oh, pa! Stai bene?” lo prendo per le spalle e lo scuoto, come a volerlo svegliare dal sonno. – Sì, sto be…bene, Vanja. Cosa è sta… stato?- – Non lo so, papà. Forse un incendio, forse un’esplosione. Si sono sentiti due botti molto forti, per poco non mi si frantumano i timpani. – Ho sentito tutto, Vanja . – Papà incomincia a tossire. Deve essere colpa di questo fumo fastidioso. Tossisco anche io. – Pa’, ora ammesso che la motocicletta sia ancora integra torniamo a casa, vero? Lascia guidare me, riposati.-Lentamente, spaventati ed inermi, pieni di domande a cui nessuno può rispondere, andiamo alla ricerca del nostro mezzo. Da lontano ci sembra di udire anche le sirene dei pompieri.”

Dal libro inedito “Un bengala nella notte”, di Valeria Martucci. (Ve ne parlo in questo articolo: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/libri-e-chernobyl/)