Questo articolo nasce esclusivamente dalla mia testardaggine, unita alla mia sana curiosità. In tutti questi anni non avevo mai pensato di dedicare un articolo a questo argomento, semplicemente perchè l’argomento sembrava non esistere. Seguitemi nelle carceri di Pripyat, mentre vi racconto cosa ho scoperto.

La prima volta che entrai nella stazione di Polizia di Pripyat e mi addentrai fino a raggiungere le carceri, ne rimasi letteralmente sconvolta. Va detto che non avevo mai visitato delle carceri in vita mia, tanto meno di massima sicurezza. Negli anni a seguire ne ho visitate anche in Italia e la cosa mi ha sconvolta molto meno, in quanto si tratta di carceri notevolmente più accoglienti, più spaziose, con più luce, seppur sempre di massima sicurezza. La stazione di Polizia di Pripyat è una comunissima caserma, con una sorta di reception, una astanteria e una cella di detenzione temporanea al piano terreno, uffici e alloggi ai piani superiori. Tra questi uffici, due erano riservati agli interrogatori. Nel seminterrato si trova il poligono di tiro, dove ogni giovedì i poliziotti erano chiamati ad eseguire l’addestramento di routine. Dal retro di quella che io chiamerei “reception” si accede alle celle di detenzione, diciamo normali. Ovvero celle dotate di una scrivania, un letto, un lavandino e una stanza con un wc. Dalla piccola finestra entra sufficiente luce per poter dire che la stanza è, tutto sommato, luminosa. Oltrepassate queste celle ci si trova davanti ad una grande inferriata che chiude un lungo corridoio buio. Su questo corridoio affacciano diverse porte di metallo pesante, simil blindate, dotate di un piccolo spioncino per guardare all’interno e una piccola grata semovibile dalla quale, probabilmente, venivano fatte passare le vivande. L’interno è peggio di un film dell’orrore. C’è una piccolissima fessura sul muro che funge da finestra, dalla quale non entra che un piccolo raggio di luce. Per il resto non c’è nulla, solo cemento e un buco nel pavimento che funge da wc. Non c’è traccia di radiatori per il riscaldamento e l’umidità si addentra in ogni singolo osso del mio corpo. Da questo lungo corridoio buio si raggiunge un’altra porta blindata che affaccia su un piccolo spazio, recintato anche nella parte superiore, lasciando intravedere il cielo attraverso le maglie della recinzione. Questo è il giardino per l’ora d’aria. Il numero delle celle normali, rappresenta meno della metà del numero di celle di massima sicurezza. Le carceri sono davvero inquietanti. Peraltro Pripyat era una città talmente giovane da non avere ancora un tribunale, quindi i detenuti venivano giudicati dal tribunale di Kiev.

Ho visitato la stazione di Polizia almeno una decina di volte e, ad ogni visita, ho sempre cercato di capire quante persone potesse avere ospitato nei 16 anni di vita di Pripyat. La risposta è sempre stata la stessa: “a Pripyat si stava bene, era una città all’avanguardia dove alla cittadinanza non mancava nulla. Non sono stati consumati crimini perchè nessuno aveva interesse a perdere i vantaggi di vivere nella città invidiata da tutti i sovietici.” Io, però, continuavo a domandarmi se fosse davvero possibile che su una popolazione composta da quasi 50.000 persone non ci fosse un solo malintenzionato, anche solo una persona che, in preda ai fumi dell’alcool, avesse commesso qualche gesto perseguibile dalla legge. Non potevo crederci, anche perchè l’uomo ha dimostrato da sempre di non essere in grado di saper curare e conservare una situazione vantaggiosa in modo totale e assoluto. Se fosse stato vero che a Pripyat non era mai successo nulla, questo significava che realmente avremmo avuto un esempio di società perfetta da seguire.

Negli anni, qualcuno mi raccontò di un solo uomo detenuto perchè ritenuto colpevole di avere ucciso la moglie. Scagionato poi velocemente in quanto si stabilì che la moglie fosse caduta dalle scale. Io continuavo a non credere che fosse possibile che quelle carceri avessero visto un solo detenuto in 16 anni, motivo per cui ho continuato a cercare nel web, in tutte le lingue del mondo! E dopo cinque anni di ricerche finalmente sono arrivata ad un archivio, in lingua ucraina. Dopo avere affrontato una ulteriore fatica per tradurre tutto, ecco cosa ho scoperto.

Anzitutto che non esiste traccia di questo fantomatico uomo e della moglie morta cadendo dalle scale. Questo dimostra come viaggiano velocemente, di bocca in bocca, le leggende che avvolgono questa città e quanto sia necessario verificare ogni singolo racconto ed ogni singola fonte. Ma io adoro fare queste ricerche, anche se mi richiedono anni di nottate spese a leggere articoli in mille lingue diverse.

A Pripyat, come in tutto il resto dell’Unione Sovietica, i furti nelle abitazioni erano all’ordine del giorno. A questi si aggiungevano furti di biciclette e di barche, in particolare nella Atom Grad che affacciava sul fiume Pripyat. Inoltre le violenze domestiche erano una pessima abitudine ai tempi, soprattutto in conseguenza all’abuso di alcool. Nonostante la propaganda del Soviet fosse dura contro il consumo di alcool, la vodka ha sempre fatto parte della cultura di queste popolazioni. Veniva prodotta illegalmente in modo molto frequente e, dopo la dissoluzione dell’URSS, a causa della grande povertà che si venne a creare, si distillava anche attraverso alambicchi realizzati con radiatori di auto, utilizzati come condensatori, con gravissime conseguenze per la salute. Va detto anche che, purtroppo, ancora oggi, nelle ex repubbliche sovietiche, la violenza domestica e l’abuso di alcool, sono all’ordine del giorno, incentivate anche dalla mancanza di leggi che condannino la violenza domestica come un reato.

Pripyat non si fece mancare nemmeno l’esibizionista che mostrava i famosi “gioielli di famiglia” alle ragazzine. Nel 1974, inoltre, furono trovati impiccati due ragazzi, proprio in centro città. Ma il caso rimase irrisolto. Nel 1975 vi fu una rapina a mano armata alla cassa di risparmio, presso la stazione dei treni di Yaniv. I furti erano frequenti nei giorni di paga del salario. Forse anche voi vi starete domandando come fosse possibile che esistesse la banca in Unione Sovietica, proprio nella nazione che rigettava il capitalismo occidentale. Io ammetto la mia ignoranza perchè questa domanda me la sono posta e facendo rapide ricerche ho compreso che la banca sovietica non aveva nulla a che fare con il sistema bancario capitalista a cui siamo abituati nel nostro mondo occidentale. La banca sostituiva semplicemente l’abitudine di nascondere il denaro sotto il materasso. Era un luogo più sicuro dove “nascondere” i soldi. Inoltre, attraverso la banca, si effettuavano i pagamenti e, non ultimo, aveva una funzione di totale controllo sulle ricchezze del cittadino. La mia amica Lara, evacuata da Pripyat, mi ha raccontato, con le lacrime agli occhi, di come abbia perso tutti i suoi risparmi dopo la dissoluzione dell’URSS, letteralmente svaniti nel nulla. (Ve ne ho parlato a questo link: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/storia-di-una-donna-evacuata-da-pripyat-lara/). Sempre nel 1975 avvennero alcuni furti al grande magazzino di Druzhby Narodov Ulitsa.  Agli inizi degli anni ’80 capitò spesso che la polizia dovesse dividere gruppi di giovani che facevano a botte, soprattutto con i nuovi arrivati a vivere in città. E proprio in seguito a questi parapiglia tra bande, un giorno del 1985 si verificò una rivolta, nella piazza centrale, di questi giovani che volevano dimostrare il loro dissenso nei confronti della Milizia e dei metodi da loro usati per mantenere l’ordine. Durante quella rivolta i giovani ribaltarono anche molte auto parcheggiate nel centro. Un caso risolto, invece, fu quello di una ragazza uccisa con un pugno mentre cercava di difendersi da un gruppo di ragazzi ubriachi intenti a stuprarla. Questo omicidio avvenne nel 1984 all’interno dell’ostello, nei pressi della stazione dei bus. L’ultimo arresto della città di Pripyat avvenne proprio la notte dell’evacuazione, quando un “topo d’appartamento” fu sorpreso a scappare con la refurtiva a bordo di una bicicletta. Da quel giorno, Pripyat è diventata il paradiso degli sciacalli. Tutti gli appartamenti sono stati svaligiati. Ormai non è più un segreto e dopo tre decenni, da quel lontano 1986, tutti sanno che furono proprio soldati e poliziotti a mettere a soqquadro la città, in cerca di denaro, gioielli, televisori e qualsiasi bene che potesse avere un valore. Furono proprio loro, posti a vigilare sulla Atom Grad, che agirono indisturbati per mesi e mesi.

Da qualunque prospettiva la si guardi, la storia della bella Pripyat, città modello dello sviluppo nucleare sovietico, è davvero triste. Nonostante l’elenco di crimini che vi ho fatto in questo articolo, la città si attestava tra le più sicure dell’intera URSS. D’altronde era abitata principalmente da ingegneri nucleari che godevano di ottime condizioni salariali e tutti avevano a disposizione una casa dove poter vivere con la propria famiglia. L’età media dei cittadini era di circa 26 anni e più della metà della popolazione era rappresentata da bambini. In tutte le famiglie c’erano almeno due figli, molto spesso anche tre, e questo dimostrava che la qualità della vita era davvero ottima.