All’inizio degli anni ’70, proprio mentre Pripyat stava nascendo come città, letteralmente costruita da zero per accogliere i lavoratori della centrale nucleare e le relative famiglie, venne fondata la squadra di calcio locale: lo Stroitel Pripyat. Il nome significava (evocativamente) “costruttori”. La carriera di questo Club fu breve, tanto quanto la sorte della città che lo ospitava.

Nel 1981, sotto la direzione di Anatoly Shepel, ex giocatore del Dynamo Kyiv e Chernomorets Odessa, dopo oltre 10 anni di competizioni amatoriali regionali, lo Stroitel entrò nella Coppa della regione di Kyiv, precisamente nella quarta divisione del campionato dell’Unione Sovietica, partecipando anche alla competizione della Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina al secondo livello. Precedentemente, nel 1979, all’età di 19 anni, era entrato nel team Stanislav Goncharenko, ex centro campista del Spartak Mosca e alcuni altri club di Kyiv. Era la vera punta di diamante della squadra. Lo Stroitel scalava le vette delle classifiche e faceva presagire un futuro luminoso, anche a livello nazionale, così come Pripyat acquisiva sempre più prestigio come città modello del sistema sovietico. Il nucleare portava ricchezza e così si decise di costruire un nuovo stadio, all’altezza della città e del successo che la squadra stava ottenendo. Venne quindi costruito lo Stadio Avangard. Doveva essere inaugurato il Primo Maggio durante la parata per i festeggiamenti di questa ricorrenza, ma lo scoppio alla centrale nucleare cambiò tutti i programmi. Anche lo stadio non entrò mai in funzione, così come il famoso Luna park. Peraltro, sono collocati proprio uno a fianco all’altro e furono investiti direttamente dalla nube radioattiva sprigionatasi dallo scoperchiamento del reattore 4 (https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/control-room-reattore-4-chernobyl-nuclear-power-plant/).

Lo stadio Avangard doveva essere degno rappresentante di una città modello e fu quindi costruito con tutti i crismi di quella che era l’architettura sovietica. Doveva ospitare anche competizioni di basket e tutto intorno al campo di gioco fu costruita una bellissima pista da “running” dedicata all’atletica leggera. Gli spalti potevano ospitare 5000 spettatori, erano imponenti e imperavano sul campo. Il match previsto per l’inaugurazione dell’Avangard era la semifinale di Coppa della regione Kyiv e doveva essere disputata contro il Borodyanka (oggi FC Inter Boyarka), ma nessuno corse mai su quel campo di calcio. Il 26 Aprile i giocatori del Borodyanka, arrivati a Pripyat e vedendo le autorità che facevano verifiche con i rilevatori geiger e le maschere antigas indosso, decisero di andarsene immediatamente. Ironia della sorte, il Borodyanka andò in finale nella Coppa di Kyiv senza giocare e vinse un trofeo per la sua prima volta in assoluto. Quello stesso giorno era previsto anche un torneo tra squadre giovanili, che fu sospeso a causa della situazione di totale disinformazione in cui versava Pripyat.

Nei mesi immediatamente successivi all’incidente, molti dei tesserati dello Stroitel lasciarono il calcio per divenire “liquidatori” (https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/i-liquidatori-di-chernobyl-supereroi-del-secolo-scorso/) e occuparsi della liquidazione dell’incidente, continuando quindi a impegnarsi per la propria Patria, anche se in modo completamente diverso ed estremamente pericoloso a causa dell’esposizione a elevatissime dosi di radiazione. Nel frattempo, a pochi chilometri di distanza da Pripyat, stava sorgendo Slavutych, città che doveva ospitare i lavoratori della centrale nucleare e le loro famiglie. Una nuova Pripyat a distanza di sicurezza dal mostro nucleare (https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/slavutych-la-gemella-di-pripyat/). La voglia di continuare con il calcio era tanta, forse anche per cercare di ritrovare un angolo di normalità in una vita che era stata totalmente stravolta da un evento che l’uomo non aveva mai visto e vissuto prima nella storia, così lo Stroitel si trasferì a Slavutych. Il nome cambiò da Stroitel Pripyat a Stroitel Slavutych, ma fu presto chiaro che l’entusiasmo non era più quello di una volta e le difficoltà che i singoli calciatori si trovarono ad affrontare, vuoi psicologiche, vuoi logistiche, portarono allo scioglimento definitivo del Club nel 1988.

Oggi lo stadio Avangard si presenta come una foresta. Non ti rendi conto di camminare sul campo di gioco, bensì ti sembra di passeggiare in mezzo a quello che poteva essere un angolo verde della città. Realizzi dove ti trovi solo nel momento in cui attraversi completamente la fitta vegetazione, lasciandoti alle spalle la famosa ruota panoramica fantasma, icona indiscussa di questa triste storia. Uscendo dalla boscaglia ti trovi di fronte gli imponenti spalti e se percorri diverse centinaia di metri, sulla sinistra troverai i tornelli di accesso. Tutto era pronto per la semifinale Stroitel-Borodyanka. Probabilmente i tifosi avevano preparato qualche striscione e qualche coro da cantare alla squadra del cuore. Vincere quella partita nel nuovo stadio della città più all’avanguardia dell’Unione Sovietica avrebbe significato tanto per lo Stroitel Pripyat. E invece quel sogno svanì, insieme al sogno della Atom Grad (la città dell’atomo).

L’incidente di Chernobyl non ha colpito solo la salute delle persone e del pianeta intero, bensì anche la struttura sociale di una comunità che era formata da circa 50000 persone. Persone che a Pripyat avevano trovato una situazione ideale, con una qualità di vita unica rispetto al resto delle città dell’Unione Sovietica. Persone giovani che credevano fortemente in un futuro stabile in quella città. Lo Stroitel Pripyat è una delle tante vittime sconosciute del disastro nucleare di Chernobyl.

Tra i nomi noti di questa epoca moderna, voglio riportarvi la testimonianza di Andriy Shevchenko, noto calciatore e allenatore, che ha vissuto il disastro di Chernobyl in prima persona. Nel 1986 aveva 10 anni e viveva proprio a Kyiv.
“Mio padre lavorava nell’esercito, come ingegnere, e gli ci volle poco a capire tutto. Si presentò a casa con un rilevatore di radiazioni. Quando l’ha acceso è come se fosse suonato l’allarme. La contaminazione aveva superato qualsiasi livello di guardia. Una volta, esattamente in quel periodo, ho calciato per sbaglio il pallone sul tetto di un palazzo. Mi arrampicai e, oltre al mio, ce n’erano altri. Li recuperai tutti felicissimo, perché così pure se ne avessi perso uno, avrei comunque avuto quelli di riserva. Ma mentre tornavo a casa, incrociai mio padre e vedendomi con quei palloni, mi chiese di darglieli. Fece il test anche su quelli: erano altamente radioattivi. Non c’era più nulla da fare, se non portarci via. In quasi tutta l’Ucraina hanno chiuso le scuole. Tutti i bambini sino ai 15 anni sono stati trasferiti in un campus a 1000 km. Ma anche lì, non eravamo al sicuro, perché le radiazioni non seguono un percorso prestabilito. Non sai dove si depositano. Non lo potevi sapere.
E se ci pensavi, rischiavi di impazzire. Perché le radiazioni non le senti, gli effetti e le malattie si manifestano anche dopo anni. Ho perso tanti amici: cancro e leucemia. Così mi sono ripromesso che un giorno dovevo poter fare qualcosa, per combattere in qualche modo Chernobyl. E quando sono stato acquistato dal Milan, ho potuto finalmente creare una fondazione per portare i bambini malati in Italia e poterli curare. A me è andata bene, ad altri no. Ma ci sono immagini che la mia testa non cancellerà mai.” (Queste le dichiarazioni di Sheva nel libro “Demoni” di Alessandro Alciato.

Da figlia di un fanatico di calcio, calciatore prima e allenatore ora, non potevo ignorare il Football Club Stroitel Pripyat.

Dedicato a mio padre, che in quegli anni correva a perdifiato sui campi di gioco, come i suoi coetanei di Pripyat, e come loro riponeva nel calcio tante speranze e soprattutto tanta passione.