Di Ivan e Maria ho parlato davvero molto in questi anni, sulla mia pagina facebook, Diario di un viaggio a Chernobyl (https://www.facebook.com/diariodiunviaggioachernobyl/). Non ne avevo mai parlato sul mio blog, ma è giunta l’ora di farlo.

Ivan ci ha lasciati questa settimana, (6 ottobre 2018) all’età di 83 anni, 32 dei quali vissuti a stretto contatto con un nemico invisibile: la radiazione. Ivan era sposato da quasi 60 anni con Maria. Metà del loro matrimonio e del loro amore è stato accompagnato da un nome tristemente noto in tutto il mondo: Chernobyl. Prima dell’incidente vivevano a Kupovate, un villaggio situato esattamente tra Chernobyl e Pripyat. Erano contadini e lavoravano nei kolchoz, le aziende agricole collettive sovietiche. Dopo l’incidente, furono evacuati. Arrivarono degli autobus a prenderli. Nessuno gli disse dove sarebbero stati portati, gli dissero solo di portare con sè lo stretto necessario per stare lontani da casa tre giorni. Furono condotti in un villaggio e lasciati lì, senza altre indicazioni specifiche. Dovettero trovarsi un posto dove dormire. Gli abitanti del villaggio erano ostili, non volevano questi “chernobyliani”, li credevano portatori di malattie. Non fu dato loro nemmeno un ceppo di legno per scaldarsi e addirittura impedirono loro di utilizzare l’acqua del pozzo buttandoci dentro del fieno. Iniziarono a spargere brutte voci, raccontando di furti di denaro per mano di questi “evacuati”. Ovviamente nulla era vero. Dopo qualche tempo decisero di rientrare nella loro casa. Decisero che sarebbe stato meglio lottare contro la radiazione piuttosto che vivere con persone che non li accettavano. Le notizie dicevano che il loro villaggio non era stato investito dalla nube nucleare. D’altronde Maria ha sempre sostenuto che lei questa radiazione non la vede, non la sente, per lei non esiste. L’orto ha continuato a produrre sempre grandi raccolti. Il melo è sempre stato carico di frutti. Il dottore le disse che era stata contagiata dalla radiazione, ma lei non ci ha mai creduto. Oggi ha 76 anni e ciò che sente sono i dolori dell’età, dolori alle articolazioni, stanchezza fisica. Negli anni, lei ed il marito, hanno dovuto convivere con una grande solitudine. Il villaggio si è spopolato, la zona è stata dichiarata interdetta, quindi non ci vive più nessuno. C’era un furgoncino che portava cibo pulito, una volta a settimana, ma da alcuni anni è stato soppresso. C’erano un’ambulanza ed un punto di pronto soccorso, chiuso anche quello. A loro il governo non ha riconosciuto nessuna indennità o pensione. Nel frattempo l’Unione Sovietica si è dissolta e si sono ritrovati abbandonati anche dallo Stato. Le aziende agricole collettive non esistevano più e quindi hanno continuato a vivere dei prodotti dell’orto, senza denaro. Non vivono, sopravvivono. Negli anni, dal momento in cui la Zona fu aperta ai visitatori, hanno ricevuto aiuti e compagnia dai viaggiatori. Tra questi c’ero anche io. Conobbi Ivan e Maria nel 2015 e da allora non ho più smesso di portare loro tutto ciò di cui necessitavano, oltre a qualche ora di leggerezza, fatta di risate in compagnia. Ho visto Ivan spegnersi piano piano in questi ultimi mesi. Ne ho sofferto, ma le parole di Maria sono sempre state chiare: “Ci chiamano Samosely, coloni, ma questa è casa nostra, non siamo insedianti. Questa è la nostra terra, la nostra casa. Qui siamo stati felici e qui vogliamo morire, anche se nessuno si interessa più a noi.”

Tutti i Samosely che ho conosciuto sono splendide persone, ma con Ivan e Maria si è instaurato un legame speciale, quasi come tra nonni e nipote. Mi sono interessata, principalmente a loro. Ho fatto ciò che potevo per loro, supportata da tutte le persone che hanno viaggiato con me in questi anni e da Serra x il mondo-onlus. Quello che a noi sembra poco, per loro è davvero tanto.

Ivan si è spento nel sonno e Maria, non avendo il denaro per un funerale, l’ha fatto sotterrare alla forestale, in un piccolo cimitero vicino casa. Mi rimprovero di non essere stata pronta ad aiutarla per un funerale, me lo rimprovero fortemente, ma Maria non ne voleva sentir parlare. Sapeva che si sarebbe trovata sola ad affrontare la morte del marito, ma forse era ciò che reputava giusto. Hanno vissuto una vita insieme, seppur abbandonati da tutti, ma sempre uniti nel loro amore. Queste persone sono gli ultimi testimoni viventi del più grande disastro nucleare della storia. Piano piano, se ne stanno andando portandosi con sè le loro incredibili storie di vita.

Pochi giorni fa al programma Niagara, condotto da Licia Colò, su RAI2, è andata in onda l’intervista che avevamo realizzato con Maria. Il fato ha voluto che il reportage, girato lo scorso agosto, andasse in onda proprio al termine dell’esistenza di Ivan in questa dimensione. (https://www.youtube.com/watch?v=9wogjLA6W3E&t=105s)

Il mio impegno con Maria non si chiude qui, anzi, raddoppia! Lei ed Ivan mi hanno donato molto di più di quanto io abbia donato a loro. Buon viaggio Ivan.

(dal 2015 porto avanti un progetto di aiuto ai Samosely, recandomi da loro con frequenza bimestrale e portando loro medicine, cibo non contaminato e qualsiasi altra cosa loro mi chiedano. Chi volesse partecipare a questo mio progetto di aiuti, può farlo donando all’Associazione Serra x il mondo che supporta questo mio progetto.
iban: IT31I0538767030000001806302
causale: Samosely-Chernobyl)