Lara ha 67 anni, fa la badante in Italia e vive a Vignola, cittadina emiliana, situata a metà strada tra Modena e Bologna. Vignola è la città dove io sono nata e cresciuta e dove Lara è rinata, dopo quel tragico 26 aprile 1986.
Strano il destino delle persone. Io e lei legate da due città: Pripyat, luogo di cui non posso più fare a meno, la città del futuro, che per lei ha rappresentato la perdita di tutto, e Vignola, la città che l’ha accolta dandole una seconda possibilità, la città che mi ha vista nascere.

Il destino ci ha unite proprio nell’anno del trentesimo anniversario del disastro che le cambiò letteralmente la vita.

L’ultima volta che ci siamo incontrate era il giorno del suo compleanno (2018). Ci siamo sedute in un bar, davanti ad un cappuccino:
-Come va, Lara?-
-Oggi compio 67 anni, Francesca. Mi avevano detto che non sarei arrivata a 60. Quindi va bene.-
-Allora ho un grande regalo per te!!!! Stasera su RAI2 potrai rivedere la tua città, come è oggi.-  ( https://www.youtube.com/watch?v=9wogjLA6W3E&t=26s)
Lara si è messa a piangere.
Non è per nulla tecnologica quindi non ha mai più rivisto Pripyat dopo l’evacuazione. Non è andata a cercare immagini su internet. Talvolta ha guardato qualche mia fotografia, riconoscendo i luoghi e le vie. Ma un’immagine dell’insieme non ce l’ha.
-Voglio tornare a Pripyat, lo sai Francesca. Ma non trovo il coraggio, ho paura di come potrei sentirmi.-
Lo dice nel suo italiano duro, con cadenza russa. Lara è russa. Viene dalla Siberia. Lei e il marito avevano guadagnato molti denari lavorando nelle miniere di carbone. Poi la svolta: il marito era stato chiamato a lavorare all’ospedale di Pripyat. (https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/pripyat-hospital/) Il futuro! La città più all’avanguardia di tutta l’Unione Sovietica.
Il resto è storia. Non una storia qualunque. La storia di Lara e di tanti suoi concittadini, di tutti coloro che sentirono quell’annuncio “Внимание, внимание” (Attenzione, attenzione).  Ricorda il caldo atroce che faceva quel giorno. La notte trascorsa alla finestra con la vicina di casa a guardare lo spettacolo di quella che lei chiama “l’aurora nucleare”. Il cielo aveva assunto mille colori, una meraviglia paragonabile solo all’aurora boreale, ma a differenza di quest’ultima che ci dona Madre Natura, quello era uno spettacolo letale orchestrato dall’uomo.
-Francesca tu sei una pazza dal cuore buono.-
Non poteva farmi complimento migliore. Ha parlato per tre ore. Solo lei. Come è giusto che sia. E come sempre avviene durante i nostri incontri. Lei ha un gran bisogno di raccontarsi ed io ho bisogno di ascoltarla.

Era una maestra d’arte a scuola. Viveva nella stupenda Pripyat con il marito e i due figli piccoli. Era in attesa di un appartamento più grande in quanto aveva da poco avuto il secondo figlio. Quell’appartamento sarebbe anche stato più vicino alla scuola e all’ospedale, dove lavorava il marito.
Ma il 26 Aprile 1986 le sorti della sua famiglia cambiarono in un attimo, con l’esplosione alla centrale nucleare.
Lei mai avrebbe immaginato ciò che sarebbe avvenuto dopo.
E’ rimasta vedova in quanto il marito è morto pochi anni dopo l’incidente, per le gravi irradiazioni conseguenti al suo lavoro di medico in prima linea all’ospedale. Il suo corpo era pieno di Stronzio e questo gli ha provocato anni di sofferenze.
I figli, di 34 e 42 anni, hanno gravi problemi di salute e sono disoccupati. Vivono nelle campagne ucraine, hanno a loro volta figli e nessun sussidio.
Lara fu liquidata, qualche anno dopo l’incidente, con 8000 grivna, ovvero circa 250 euro. Questo è il valore che il Governo ha attribuito alla perdita della propria vita personale, costituita da una famiglia, un lavoro, effetti personali e la perdita della salute.
Ha una casa di proprietà nella campagna ad ovest, verso la Polonia. Questa casa è un’eredità lasciata dalla nonna e solo di riscaldamento le costa oltre 150 euro al mese. La grave situazione economica che l’Ucraina sta attraversando dovuta alla presenza dell’invasore russo nel Donbass, si ripercuote in questo modo sulla povera gente.
Lara, per il sistema contributivo italiano, è entrata nell’età pensionabile, ma non può tornare a casa sua perchè la pensione che riceverebbe dall’Italia, se tornasse in Ucraina verrebbe tassata e non sarebbe sufficiente nemmeno per pagare il riscaldamento.
Inoltre la sua casa necessita di lavori di muratura. Il tetto è semi crollato. Il bagno è all’aperto ed in pessime condizioni. Lara mi ha chiesto se posso andare laggiù a vedere cosa si può fare per la sua casa perchè vuole tornare nella sua terra. Non è più una ragazzina. Ha problemi di salute ed è stanca! I suoi figli vivono col denaro che lei invia mensilmente. Lei in Italia lavora e basta. Vive con l’anziana che deve accudire. E’ sola, senza marito e lontana dai suoi affetti.
Mi ripete sempre che se deve ringraziare una nazione per averle dato un futuro, ringrazia l’Italia. Da quando lavora qui, con grandi sacrifici, è riuscita a far crescere tre nipoti. Ora una è pronta per l’università, ma i costi sono troppo elevati per lei e questo la addolora molto. inoltre l’Italia è il paese che l’ha curata, gratuitamente, quando ha dovuto asportare l’utero, togliere un tumore al seno e altre gravi problematiche che non sto a elencare.
All’Ucraina invece attribuisce i suoi problemi e la sua perdita di speranza per il futuro. E’ arrabbiata con la sua Madre Patria perchè per tre volte l’ha derubata:
prima nel 1986 con il disastro di Chernobyl, poi nel 1991 con la caduta dell’Unione Sovietica e i suoi risparmi sono improvvisamente spariti tutti dal conto corrente ed infine dieci anni fa, quando le è stata tolta la piccola pensione che riceveva come vittima di Chernobyl di prima categoria.
Potrei scrivere un libro con i suoi racconti, e forse un giorno lo farò. Intanto tengo tutto appuntato sulla carta e nel cuore. Circa una volta al mese ci facciamo una chiacchierata al telefono. Mi spezza il cuore perchè sostiene di non avere amici, non perchè gli italiani le siano ostili, bensì perchè lei si è chiusa totalmente in se stessa. Parla volentieri con me perchè dice che io comprendo la sua storia, essendo stata nelle sue terre tante volte. Le nostre telefonate iniziano sempre con un “Francesca, come va?” io rispondo “bene Lara, parlami di te.” Come posso pensare di raccontare a lei i miei problemi quotidiani, che talvolta mi sembrano enormi? Proprio a lei che ha vissuto il dramma dell’evacuazione dalla città nucleare. A lei che, nel fiore della sua giovinezza, con due figli piccoli, un matrimonio felice, un buon lavoro, quel sabato pomeriggio del 1986, senza saperlo, stava lasciando per sempre la sua vita perfetta, facendo un salto nel vuoto che ancora oggi non si è concluso?!
Il disastro nucleare di Chernobyl non ha avuto risvolti solo sulla salute dell’uomo e del pianeta intero, bensì anche sul tessuto sociale, in modo silenzioso, ma non meno grave.

Ho promesso a Lara che farò il possibile per aiutarla a sistemare la sua casa e per farla tornare al suo paese a godersi la vecchiaia dopo la vita d’inferno che la centrale nucleare di Chernobyl le ha lasciato in eredità.

C’è una frase che mi ripete sempre e di cui ho promesso di farmi portavoce:  “Quando racconti questa storia, ti prego di dire a tutti che stavamo bene. Che Pripyat era bellissima. Che tutto quello che non trovavi nelle altre città di URSS, a Pripyat c’era. E ti prego di fare capire bene che tutti parlano di Chernobyl, ma Chernobyl è lontana, le persone ci vivono ancora. Devi dire che il disastro non è stato per Chernobyl, ma per Pripyat. Grazie Francesca.”

Lei si fida di me e questa è una grande responsabilità.

“La mia vita è rimasta tutta dietro a quel filo spinato.”
Lara, evacuata da Pripyat.