Valerij Legasov è uno dei personaggi che più mi ha affascinata nella storia degli eventi di Chernobyl. Prima di addentrarmi così visceralmente nella zona di esclusione di Chernobyl, quando ancora le mie conoscenze erano ridotte ai luoghi comuni che la stampa ci ha sempre propinato, mi ero quasi convinta che il suo suicidio fosse la riprova che lui non aveva in mano i giusti elementi per le affermazioni che stava portando avanti. Mi ero convinta che la sua denuncia contro i reattori RBMK-1000 fosse infondata e che davvero tutta la colpa dell’incidente fosse da imputare all’errore umano. Non avevo nessuna conoscenza di reattori nucleari e quindi non riuscivo a stabilire dove fosse nascosta la verità. Poi è arrivato internet, io ho iniziato a viaggiare con grande frequenza nella zona di esclusione e ho avuto modo di approfondire molto la storia di questo uomo. Oggi posso dire con certezza perchè mi affascina: perchè ha lottato strenuamente per la Verità, pagandone caro il conto in termini di salute fisica e psicologica. Ho imparato ad apprezzarlo moltissimo come uomo, ancor prima che come scienziato. Questo è il mio personale tributo a lui e alla Verità.
Ma chi era Valerij Legasov?
Nacque nel 1936 a Tula e si distinse fin da subito per l’eccellenza con cui affrontò il percorso scolastico al termine del quale avrebbe potuto scegliere qualsiasi scuola, data la sua preparazione. Lui scelse l’Istituto Mendeleev di Chimica e Tecnologia di Mosca, che preparava gli specialisti per l’industria nucleare e il settore energetico. Al termine dell’università ricevette un’offerta per un dottorato di ricerca all’Istituto per l’Energia atomica Kurchatov. In un primo momento rifiutò perché voleva fare un percorso differente nello stabilimento chimico siberiano di Tomsk (nella città chiusa di Seversk) per lavorare allo sviluppo del plutonio per le armi. Al termine di questo impiego, dopo due anni, entrò all’Istituto Kurchatov. Conseguì brillantemente il dottorato in chimica e, a 45 anni, divenne uno dei membri più giovani dell’Accademia delle Scienze. Era il 1981 e il nome di Legasov era ormai noto come uno degli scienziati più importanti nel campo della chimica inorganica. Ricevette anche diversi premi statali per il suo lavoro.
Tuttavia i suoi studi e i riconoscimenti ricevuti non riguardavano i reattori nucleari. E allora come ci è finito Legasov a Chernobyl? Per un puro caso. E meno male che il caso lo ha portato laggiù, aggiungo io! La figlia Inga Legasova racconta: “Non era destinato a essere a Chernobyl. La sua specializzazione era la chimica fisica e lavorava allo sviluppo degli esplosivi. Il 26 aprile era un sabato e mio padre stava partecipando a una riunione del presidio dell’Accademia delle Scienze con l’accademico Aleksandrov il quale ricevette una chiamata tramite la vertushka (linea telefonica di Stato chiusa). Serviva urgentemente uno scienziato che si unisse alla commissione statale, ma tutti i vice di Aleksandrov dell’Istituto Kurchatov erano irreperibili. Un aereo di Stato stava già aspettando. Quindi mio padre fu mandato in un aeroporto di Mosca e partì immediatamente per Chernobyl ”.
Al suo arrivo a Pripyat, Legasov capì subito il livello di grave impreparazione di tanti operatori della centrale, al quale si andava ad aggiungere la paura, che creava disordine in tutte le procedure. Iniziò immediatamente a sorvolare il reattore esploso e lo fece per diversi mesi, due volte al giorno, per capire le precise condizioni in cui versava il blocco 4. Sapeva benissimo a quale livello di radiazione si stava esponendo. E infatti insisté da subito, già dalla sera del 26 Aprile, per evacuare Pripyat. Capì immediatamente la gravità della situazione e la necessità di operare rapidamente per la messa in sicurezza del reattore 4, in assenza di civili intorno. L’evacuazione era necessaria per questo motivo e per un motivo di tutela della salute degli abitanti. Fu sempre lui a dare l’ordine di scaricare, dagli elicotteri carburo di boro, dolomite e piombo direttamente sul reattore scoperchiato. Questo mix doveva spezzare la reazione a catena dei neutroni e soffocare il fuoco. Fece proteggere un elicottero con schermature di piombo e si fece accompagnare ai piedi del reattore 4 per misurare personalmente i livelli di radiazione in tempo reale. Tutti i giorni raccoglieva dati, più volte al giorno, per stilare i suoi rapporti in modo preciso. Per questioni di sicurezza, come tutti i liquidatori, aveva il permesso di rimanere in quella zona per due settimane, poi se ne sarebbe dovuto andare per tutelare la propria salute. Rimase sei mesi. Già dalla metà di maggio, quando molti pompieri ed operatori della centrale nucleare iniziavano a morire per malattia da radiazioni acuta, su di lui iniziarono a manifestarsi i primi sintomi da intossicazione: “abbronzatura” nucleare, tosse, insonnia, perdita di capelli. Ma lui non si fermò.
Nel frattempo il mondo iniziava ad accusare l’Unione Sovietica per il suo silenzio, mentre in Europa si registravano aumenti di livello di radiazioni. Le pressioni iniziavano ed essere forti e d’altronde, in tempi di Guerra Fredda, il mondo non aspettava altro che un’occasione del genere per sferzare un poderoso attacco all’URSS. Era il 14 Maggio 1986 quando Gorbachev parlò all’Unione Sovietica, proprio mentre tanti dei primi intervenuti alla centrale quella notte erano ormai morti all’ospedale Nr 6 di Mosca. Questo non bastò a calmare gli animi. Da anni il mondo accusava i reattori RBMK-1000 sovietici di non essere strutturalmente sicuri. Lo stesso Legasov, già prima dell’incidente di Chernobyl, aveva sollevato questo problema di sicurezza, insistendo sulla necessità di una struttura di contenimento. La proposta fu bocciata dai colleghi sovietici.
Nell’Agosto del 1986 fu invitato a Vienna al congresso dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica). A questo congresso doveva parlare Gorbachev in proposito degli eventi di Chernobyl. Ma fu proprio lui a mandare avanti Legasov, per il ruolo che ricopriva di scienziato di fama consolidata e forte dei suoi studi sul campo. Proprio nel 1986, Gorbachev si fece promulgatore della Glasnost e la sua prima “pietra” fu posata con la decisione di lasciare che Legasov relazionasse tutto nel dettaglio. (La traduzione letterale di Glasnost significa “pubblicità” inteso come “di dominio pubblico” e doveva essere un nuovo strumento di trasparenza atto a combattere la corruzione e la censura sovietica, messo in campo proprio dallo stesso Gorbachev nell’ambito della nuova riforma politica che lui stesso stava capitanando, la Perestrojka.) Tuttavia, quando Legasov presentò il suo rapporto al Soviet, prima del congresso di Vienna, questo venne modificato, lasciando intendere che l’incidente era da imputarsi solo ad un errore umano. Ma nel documento originale era ben specificato che l’esplosione era il risultato di una concatenazione di fattori, tra cui i difetti strutturali del reattore e l’errore umano, perchè il personale non era a conoscenza dei difetti e non sapeva che il test che stava svolgendo avrebbe portato a un’esplosione. Dopo cinque ore di relazione, il suo rapporto riscuoté un incredibile successo nella comunità internazionale, tanto che a breve fu eletto “L’uomo dell’anno” e fu annoverato tra i dieci migliori scienziati del mondo. (Qui trovate un’intervista proprio dopo il congresso: https://www.youtube.com/watch?v=hkk00dSjp5YV). Valerij però sapeva bene che in quel rapporto non c’era tutta la verità e seppur lui si fosse attenuto a relazionare in base alle modifiche redatte dal Soviet, il suo successo internazionale venne mal digerito in Patria e creò molti fastidi nella comunità scientifica sovietica. Tanto che per i due anni successivi non gli venne riconosciuto dal Partito nessun premio. Gorbachev tolse il suo nome dalla lista di quelli che avrebbero ricevuto una decorazione di Eroe del Lavoro Socialista per il suo importante intervento nella liquidazione dei danni dell’incidente di Chernobyl, dicendo che “altri scienziati non raccomandano di premiarlo”.
Legasov era un buon patriota e soffrì molto per la reazione che la sua relazione ebbe in Patria. Nel frattempo, appena un mese dopo il congresso di Vienna, i medici gli diagnosticarono una pancreatite da radiazione, al quarto stadio. Nel suo sangue erano stati rilevati mielociti ed era ormai chiaro che avrebbero raggiunto il midollo osseo. Aveva quasi perso controllo delle dita della mano sinistra, del braccio destro e di una gamba. Gli fu anche diagnosticata una depressione reattiva. La figlia Inga racconta: “nel 1987, mentre era in ospedale, prese una grossa dose di sonniferi, ma i medici furono chiamati in tempo e gli fecero una lavanda gastrica, salvandolo. A noi disse: tutto è bruciato dentro di me.” La figlia racconta che il padre non voleva sentirsi un peso per la moglie, la quale lo aveva sempre appoggiato, curato e amato più di quanto amasse se stessa. Valerij non stava bene anche perchè era molto preoccupato per il futuro della salute dei bambini che vivevano nelle terre circostanti e per gli animali abbandonati all’interno della zona interdetta. Non era uno scienziato distaccato dal lato umano e la sua empatia con i problemi che Chernobyl stava creando e avrebbe creato in futuro, lo stava logorando insieme alla malattia. Era logorato dal rimorso di non essersi ribellato alle “correzioni” del Soviet e sapeva che ciò che lui aveva da dire in merito ai difetti strutturali dei reattori RBMK-1000 avrebbe evitato futuri incidenti e ulteriori morti.
Nel giorno del secondo anniversario dell’incidente alla centrale, il 26 Aprile 1988, Valerij si impiccò alla ringhiera della scala di casa. Non lasciò la classica lettera di addio del suicida, bensì registrò un’audio cassetta dove raccontò tutta la verità che non gli era stato permesso di raccontare al congresso di Vienna e negli anni successivi. (Nel canale a questo link trovate tutti gli audio originali con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=H5dwjyYYr64). Ascoltare la sua voce, sapendo che sono le ultime parole che ha pronunciato prima di suicidarsi, mi crea una forte tristezza. Pensare a un uomo che non regge al confronto con la propria coscienza, mentre centinaia di politici trovano la forza di arricchirsi vergognosamente alle spalle di tanti ignari e innocenti cittadini, è quanto di più schifoso sappia fare il genere umano. Ora, come allora. Pensare a un uomo che decide di togliersi la vita, ma lasciando come ultima eredità al mondo la sua Verità, quella che in vita gli avevano negato di raccontare è davvero sconfortante. Da questo punto di vista, Chernobyl non fu un grande esordio per la Glasnost di Gorbachev, perchè nonostante il timido tentativo di “essere trasparenti”, il Soviet non riuscì ad esimersi dal correggere e dal censurare parti della Verità.
Tuttavia la morte di Legasov non fu vana in quanto tutti i suoi rapporti vennero resi noti e la stessa Unione Sovietica dovette poi ammettere i propri errori. Nel 1996, dieci anni dopo il disastro nucleare di Chernobyl, il presidente russo Boris Eltsin gli conferì il titolo di Eroe della Federazione Russa per il coraggio e l’eroismo dimostrati nell’investigazione del disastro.
Valerij Legasov, oltre ad essere stato uno scienziato importantissimo, si è dimostrato un uomo di un’integrità morale unica. Seppur abbia dovuto cedere sotto il peso dell’essere un uomo di Scienza in un’Unione Sovietica dove se non ci si atteneva alle regole dettate dal Soviet, si finiva ai lavori forzati in Siberia o, peggio ancora, nei gulag con l’accusa di essere un dissidente politico, nemico della Patria, ha poi pagato un conto salatissimo con la sua coscienza. L’eredità che ha lasciato si è rivelata fondamentale e importantissima per affrontare le conseguenze del disastro nucleare di Chernobyl e per rivalutare la sicurezza dei reattori RBMK.
Legasov merita enorme stima per questo: ha pagato con la vita il prezzo delle bugie, nonostante avesse combattuto proprio contro di esse. Ho sempre basato la mia vita sulla totale trasparenza. Odio la falsità e le cose non dette, preferisco di gran lunga una brutta verità a una bella bugia. “Ogni bugia che pronunciamo, comporta un debito con la verità. E presto o tardi questo debito sarà pagato.”
Ogni bugia che raccontate vi si ritorcerà contro, e non potete prevedere quanto sarà amplificato il prezzo da pagare, con voi stessi e verso il prossimo.
Almeno questo cerchiamo di impararlo da questa triste storia.