Viktor Bryukhanov era direttore in carica dell’impianto nucleare di Chernobyl, all’epoca dell’incidente. Era nato nel 1935 in Uzbekistan, dove aveva anche conseguito la laurea come ingegnere e trovato lavoro nella vicina Angren, nella centrale di carbone. Qui aveva conosciuto Valentyna, quella che poi sarebbe divenuta sua moglie e che gli avrebbe dato due figli, Lilya e Oleg. Nella vita di Viktor la data del 26 Aprile aveva già fatto capolino nel 1966, ovvero vent’anni prima del disastro alla centrale nucleare di Chernobyl. Quella data ricorre per ben due volte nella sua vita e per ben due volte segna un cambiamento drastico. Nel 1966 un violento terremoto colpì la sua città natale, che distava circa un centinaio di km Angren, dove viveva e lavorava. Il terremoto lasciò senza casa i suoi genitori e preoccupò la moglie Valentyna a tal punto, che riuscì a convincerlo a cambiare cittadina. Il curriculum di Bryukhanov era di altissimo e non fu difficile per lui trovare un nuovo lavoro. Venne assunto presso la centrale di Slovyansk, nella regione del Donbass, nel sud dell’Ucraina. Questa centrale era in fase di ampliamento e a lui fu affidato il compito di realizzare l’intero progetto. Consegnò il lavoro nei tempi stabiliti, gestendo le squadre di operai in modo impeccabile e raggiunse anche l’obiettivo prestabilito delle quote di produzione. All’epoca viene descritto da tutti come un lavoratore indefesso e competente, un uomo di poche parole, posato ed equilibrato. Queste sue qualità non sfuggirono alle alte cariche del Partito, che lo indicarono come l’uomo perfetto per la realizzazione dell’ambizioso progetto della centrale nucleare di Chernobyl.

Nel 1970 fu trasferito nella nord dell’Ucraina, nelle campagne del Polesie, dove avrebbe dovuto realizzare anche la meravigliosa Pripyat, città modello dello sviluppo nucleare sovietico. Lui stesso racconta che arrivò a Chernobyl nella primavera del 1970 e alloggiò in un vecchio e malmesso ostello nella cittadina. Qui vi soggiornò da solo fino a quando non furono pronti gli appartamenti a Pripyat e potè finalmente farsi raggiungere da moglie e figli per godersi tutti i vantaggi di una vita in una città così all’avanguardia. Bryukhanov, per le sue qualità ingegneristiche, fu chiamato a seguire anche i lavori di realizzazione della Atom Grad. Fu sempre considerato come il Primo Cittadino di Pripyat e trattato con molto rispetto, sia dai comuni cittadini che dai componenti del Partito. Per questo a lui fu assegnato uno degli appartamenti più belli della città.

Il suo appartamento affacciava proprio sulla piazza centrale. Dalle finestre poteva vedere il centro della cultura Energetik e, sulla destra, il prestigioso hotel Polyssia. In questo hotel di norma soggiornavano delegazioni di ingegneri nucleari, che venivano da ogni parte dell’Unione Sovietica per convegni e studi, tenuti proprio in questa area che doveva diventare il polo nucleare più grande di tutto il vecchio continente. Era prevista la costruzione di 12 reattori nucleari. A fianco all’hotel c’erano (e ci sono ancora) importanti uffici dove si svolgevano questi convegni.

A Bryukhanov, non a caso, era stato assegnato un appartamento in una posizione così centrale e prestigiosa, proprio in funzione del ruolo che ricopriva all’impianto ChNPP. Il palazzo in cui il suo appartamento era collocato, al quarto piano, veniva chiamato “Casa Bianca”, non a caso. Questo edificio ospitava proprio gli alloggi dell’elite della città.

Nel periodo dell’Unione Sovietica, il partito provvedeva ad assegnare gli appartamenti al popolo in base alle necessità di famiglia (per numero di componenti del nucleo famigliare) e le unità abitative erano tutte uguali. Un cucinino, un salotto che veniva utilizzato anche da camera da letto, uno stanzino per il wc ed uno stanzino con lavandino e vasca da bagno. Quello del direttore della centrale nucleare, invece, era davvero molto più grande. Arrivati al piano si trova subito un appartamento standard, forse per gli ospiti, e sulla destra si sviluppa quello che era il suo. Stanze più grandi rispetto alla norma e molto più luminose, compreso anche un piccolo balconcino. Questi erano grandi lussi in URSS. Non dobbiamo ragionare secondo le nostre abitudini occidentali, dove esisteva la proprietà privata, ma dobbiamo tornare con la memoria al periodo sovietico, alle regole ed alle abitudini di quel tempo. (Vi ho parlato dell’edilizia sovietica in questo articolo: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/ledilizia-sovietica-pripyat-la-citta-modello/)

La notte dell’incidente alla centrale nucleare, Bryukhanov era a casa sua quando ricevette la telefonata da Akimov, capo turno dell’unità 4, che lo informava del grave incidente. Alle 2:30 era al ChNPP. Mezz’ora dopo informò personalmente il vice segretario dell’industria nucleare, il quale a sua volta si occupò di avvisare altri importanti esponenti del Politburo. Alle 4:00 del mattino anche Gorbachev era al corrente dell’incidente. (E’ importante ricordare che i cittadini di Pripyat furono avvisati solo 36 ore dopo l’incidente e che, invitati ad evacuare la città, furono rassicurati del fatto che avrebbero fatto ritorno alle proprie case entro tre giorni.)

Verso la fine degli anni ’80, Bryukhanov iniziava a sentirsi stanco di questa vita frenetica, piena di responsabilità. Aveva raggiunto i cinquant’anni e la metà della sua vita l’aveva dedicata grandissimi progetti pregni di responsabilità e volti allo sviluppo nucleare ed economico dell’Unione Sovietica. Gli era stata offerta anche la possibilità di trasferirsi a Cuba per la realizzazione del primo reattore del Paese, ma lui aveva rifiutato. Pripyat era un porto sicuro, una città dove non mancava nulla, a differenza di tante altre città sovietiche, dove in quel periodo, era un’impresa riuscire a trovare pane, formaggio, carne e addirittura alloggi. Anche per il futuro dei suoi figli, questo era il luogo migliore dove vivere.

Bryukhanov fu arrestato nell’Agosto 1986, dichiarato colpevole di grave violazione delle norme di sicurezza e condannato a 10 anni di campo di lavoro più ulteriori 5 per abuso di potere. Scontò la sua pena ed ora vive a Kiev.

In un’intervista rilasciata in occasione del ventesimo anniversario dal disastro nucleare, dichiarò: “Riconosco che il mio staff commise degli errori. Hanno pagato tutti per questi errori, chi con il campo di lavoro e chi con la morte. Ma le indagini ufficiali sulla causa del disastro sono state orchestrate al fine di scagionare l’industria nucleare. Gli scienziati, gli ingegneri edili, gli esperti dell’accusa hanno difeso tutti i loro interessi professionali con un tessuto di bugie che ci distraeva dalla ricerca delle vere cause dell’incidente. Reattori con lo stesso design di quello di Chernobyl sono ancora operativi in Europa orientale, sebbene siano stati modificati dopo l’incidente per eliminare i difetti di sicurezza scoperti dall’indagine di Chernobyl. Il mondo non ha imparato le lezioni del disastro di Chernobyl.”

Trovarsi all’interno di questo appartamento è stata un’emozione unica. Nel silenzio surreale della Pripyat di oggi, immaginare il direttore della centrale nucleare sdraiato sul suo divano-letto, immaginare l’apprensione che può averlo investito ricevendo la telefonata del capo turno dell’unità 4 in piena notte. Vederlo camminare verso la finestra, affacciata sul centro dove via Lenin si interseca con la piazza di una città modernissima, la più luminosa dell’Unione Sovietica (molti ex cittadini dichiarano che questa città era piena di luci di notte, questo grazie all’energia che la centrale forniva in grandissime quantità). Immaginarlo mentre, sulla soglia di casa, si infila le scarpe pronto a dirigersi alla centrale nucleare Lenin, totalmente ignaro del fatto che nulla sarebbe mai più stato come prima, totalmente ignaro che 36 ore dopo la meravigliosa piazza che aveva ammirato per anni dalla sua finestra, sarebbe stata invasa da pullman, teatro di un’evacuazione che avrebbe portato via per sempre i sogni, le speranze ed il futuro di una città intera.